Introduce Stefania Profeti, co-Direttore della RIPP e intervengono gli autori
In Italia il lobbying, ovvero le attività di gruppi organizzati o dei loro rappresentanti volte ad influenzare le decisioni pubbliche, è un fenomeno estremamente diffuso ma al tempo stesso difficile da conoscere: tutti sanno che esiste, eppure continua ad essere impossibile, o quantomeno molto difficile, affermare con precisione chi svolge tali attività, nei confronti di chi, con quali mezzi ed obiettivi.
La mancanza di trasparenza sul processo decisionale e su chi lo influenza, ha portato alla sovrapposizione nell’immaginario collettivo dei concetti di lobbying e di corruzione. I media non hanno certo contribuito a promuovere un’immagine più neutra del lobbisti, associandoli spesso a faccendieri o massoni.
In mancanza di normative di settore o di un registro nazionale dei lobbisti, il fenomeno si è sviluppato in modo per lo più informale e a porte chiuse. La partecipazione ai processi decisionali ha infatti ancora molti aspetti di discrezionalità e non è adeguatamente rendicontata. Questo spiega anche perché nel contesto nazionale, ancora oggi e diversamente dal resto del mondo, quando si parla di lobbismo, la tendenza generale è quella di dare all’espressione una connotazione assolutamente negativa che paventa ancora il richiamo al termine di corruzione.
Le sporadiche esperienze lanciate in questi ultimi anni dal MIPAF, dal MISE e poi seguite da MLPS e dalla Camera dei Deputati potrebbero costituire una alternativa praticabile per portare trasparenza ed efficacia nella relazione tra gruppi di interesse e decisori pubblici?
Di tutto questo si intende discutere nella giornata di lavori dedicati al lobbying in Italia, nei tempi difficili della disintermediazione e in un contesto di quasi-semi-regolazione dell’attività esercitata ormai da circa 100 società e attorno a 1000 lobbisti già registrati negli elenchi ministeriali e della Camera.